di Angelo Costa.

Buon viaggio a Davide Moretti, talento di nemmeno vent’anni che nella sua valigia per l’America porta una speranza tutta italiana: avere un giocatore in più. Se non per il campionato, almeno per la Nazionale. In altri tempi sarebbe stato il minimo: se oggi è diventata un’esigenza è perché la nostra povera pallacanestro, dopo non essersi accorta di aver toccato il fondo, ha iniziato persino a scavare.

Facendo questa scelta, Davide è conscio di avere due innegabili vantaggi: crescerà come persona e anche come giocatore. Indubbio che un’esperienza all’estero cambi un giovane: lo rende più solido nelle sue certezze e magari lo rinforza laddove avverte una debolezza. Vale anche come giocatore: Federico Mussini, ultimo cavallo di ritorno fra i talenti d’Italia finiti a studiare negli Stati Uniti, raccontava in questi giorni come i due anni passati alla corte di Chris Mullin a St John’s gli abbiano dato maggior sicurezza in campo. “Ora so sempre cosa fare”, le sue parole: dimostrarlo anche nel nostro campionato non gli sarà difficile.

Al di là di scelte e valutazioni personali, che un Moretti prenda la via dell’America è un ulteriore segnale negativo per un basket in linea con la vita del Paese: l’Italia ai giovani offre poco spazio. Siamo tutti bravi a meravigliarci davanti ai buoni esempi altrui, chiedendo come mai sloveni e serbi, per non citarne tanti altri, presentino in nazionale talenti o addirittura fenomeni di vent’anni, poi non abbiamo il coraggio di dare un posto ai nostri in una serie A dove proliferano stranieri che, appena un decennio fa, da queste parti al massimo avrebbero portato la borsa ai nostri azzurri. Il bello, o meglio il brutto della faccenda, è che cominciano a rendersene conto anche coloro che questo spettacolo chiamato campionato devono mandarlo avanti, perché la vita di un club dipende dal ricambio e dalla capacità di avere giocatori in grado di affezionare il pubblico: dal dirlo a far qualcosa per migliorare le cose, purtroppo c’è ancora di mezzo un oceano.

Dall’altra parte di questo oceano rischia di esserci una mezza Nazionale di talenti: oltre a Davide, studiano basket e altro nelle università e nei college americani i vari Akele, Oliva, Vercellino, Ulaneo, Binelli, Stefanini, Woldetensae, Badocchi, De Nicolao e Mattia Da Campo. Nomi ignoti al grande pubblico, ma sicuramente ben presenti sui taccuini dei tecnici azzurri che hanno anche avuto occasione di guidarli nelle selezioni giovanili. Da questa densità di presenze nella culla dei canestri risulta la tendenza ad affrontare un’avventura oggi meno complicata rispetto al passato, ma pure la voglia di questi ragazzi di avere una possibilità per migliorare ed affermarsi che, evidentemente, a casa non trovano.

Così anche il basket italiano soffre la sua bella fuga di cervelli: come succede in altri settori della nostra società, inutile prendersela con chi se ne va quando la colpa è di chi non fa nulla per trattenerli.

Angelo Costa
Giornalista
Il Resto del Carlino