di Valerio Bianchini.
Davide si aggiunge ai talentuosi ragazzi che hanno scelto il college per completare il loro bagaglio cestistico. Scelta quanto mai opportuna per tre ragioni.
La prima è di natura tecnica. Nei college l’obbiettivo è la formazione del giocatore individuale dentro una logica di gioco di squadra. Il numero delle partite ufficiali in una stagione è assai limitato, mentre numerosissimi sono gli allenamenti. Esattamente il contrario di quello che succede ai nostri ragazzi più dotati che spesso fanno due e anche tre campionati diversi, con diversi allenatori, con allenamenti sovrapposti e numericamente limitati rispetto all’alto numero di partite. Partite che nei campionati giovanili sono spesso insignificanti e che nei campionati dilettanti sono a volte controproducenti. Di fatto dover correre da una squadra all’altra nella stessa settimana comporta doversi adattare ogni volta a differenti organizzazioni di gioco collettivo, finendo per trascurare tragicamente i fondamentali individuali, che sono l’essenza stessa della formazione di un giocatore. Il basket di college offre all’allenamento dei ragazzi tutto il tempo che resta loro libero dallo studio, in un ambiente tecnicamente elevato con attrezzature inimmaginabili per la maggior parte delle nostre società.
La seconda ragione consiste nel fatto che i calendari dell’attività sportiva sono coerenti con quelli degli studi universitari. Dunque non v‘è la contraddizione funesta del nostro sistema, nel quale un ragazzo sportivamente dotato, finito il liceo, deve scegliere se continuare gli studi universitari rinunciando a campionati impegnativi con doppio allenamento quotidiano, ovvero rinunciare a frequentare l’università dedicandosi alla sola pratica del proprio sport, sacrificando su un incerto altare il proprio futuro post- sportivo.
La terza ragione è la formidabile esperienza umana che un ragazzo fa vivendo negli USA, come ha ben descritto Dan Peterson sulla Gazzetta dello Sport del 5 ottobre 2017. L’apprendimento di una lingua inglese fluente, il contatto personalizzato con gli insegnati, l’apertura mentale che ne segue in un giovane che si affaccia a una esperienza di vita internazionale, sono fattori preziosi per quando la carriera di giocatore, qualunque essa sia, sarà terminata e il ragazzo con ben altri mezzi che non gli allenamenti di basket, potrà affrontare una nuova vita professionale.
Valerio Bianchini
Coach vincitore dello Scudetto a Cantù (1980/1981), Roma (1982/1983) e Pesaro (1987/1988); della Coppa Campioni a Cantù (1981/1982) e Roma (1983/1984); della Coppa Intercontinentale a Roma (1984); della Coppa Italia con la Fortitudo Bologna (1998).
Italia Basket Hall of Fame dal 2013.
Scrittore.
(Foto di Cristian Palmieri)